L - LINGUAGGIO
di Monica Resta
di Monica Resta
Linguaggio
Il linguaggio ci serve per comunicare, ma se non ci si esprime bene si possono creare problemi. Da piccoli, anche se non abbiamo ancora imparato a parlare correttamente, di solito troviamo un interlocutore che si sforza di capirci. Essere piccoli nell’era dell’informatica e della domotica è davvero una sfida, perché il tuo interlocutore non perdona.
Quando ero bambina, il mio problema principale per accendere la luce era l’altezza: non riuscivo a raggiungere gli interruttori. Ma bastava un po’ di ingegno—una sedia, un bastone—e il gioco era fatto. Oggi, però, in una casa domotica, le cose sono cambiate: non basta più l’intelligenza, bisogna avere proprietà di linguaggio.
E così, i bambini di oggi possono trovarsi ad affrontare piccoli traumi tecnologici, che rischiano di indebolire la loro autostima.
A casa di mia figlia e mio genero, quasi tutto è elettronico. Ogni cosa si comanda a distanza. Entri e dici: “Ok Google, accendi la luce del salotto” oppure “Ok Google, accendi la TV”, e una voce rassicurante risponde: “Certo, ora accendo!...” e ti dice cosa sta accendendo.
Per me, che vengo da un’altra epoca, è come vivere in “Le Mille e una Notte”. Non avrei mai immaginato di poter avere un genio della lampada in casa, pronto a esaudire i miei desideri: “Accendi la luce, alza le tapparelle, metti in funzione la lavatrice.” E poi, Roomba, pulisci i pavimenti!
Nel caso di un bambino piccolo, però, il problema è proprio il linguaggio e la dizione. Lui capisce perfettamente come funziona tutto, ma, nonostante i suoi sforzi, non riesce ancora a pronunciare bene le parole. E senza una buona dizione, la macchina non capisce. Peggio ancora, rimarca la tua incapacità, ripetendo implacabile: “Non ho capito. Puoi ripetere?”
Tommaso, mio nipotino, aveva poco più di tre anni e giocava in salotto con i suoi pupazzi. A un tratto si rivolse a Google per esprimere il suo desiderio:
“Ok Gogel, atenti Potivai e metti la cancone Carantacato gati.”
Google, implacabile, rispose: “Scusa, non ho capito. Puoi ripetere?”
Tommy ripeté la stessa frase con la stessa pronuncia… ma più forte.
“Ok Gogel, atenti Potivai e metti la cancone Carantacato gati.”
Google con lo stesso tono: “Scusa, non ho capito. Puoi ripetere?”
E così, una volta, due volte, tre volte: Tommy sempre più forte e Google sempre uguale.
Di sicuro il vicinato aveva capito che un bambino voleva ascoltare Quarantaquattro gatti … ma Google, no.
Tommi iniziò a battere i piedi e mi guardò con gli occhi lucidi: “Nonna, perché non mi capisce?”
Gli spiegai con pazienza che, anche se sembrava intelligente, Google in realtà non lo era. Inoltre, non aveva sentimenti, quindi non cercava di capirlo. Era solo una macchina programmata.
Per evitare che si sentisse troppo frustrato, gli suggerii di fare un po’ di pratica. “Tommy, vedrai che, allenandoti, ce la farai!”
Lo vidi sgattaiolare verso la camera dei genitori, dove c’era uno specchio. Si mise davanti e iniziò a ripetere le parole. Sembrava un piccolo mago alla ricerca della formula giusta. Forse lo specchio gli dava coraggio, o forse gli piaceva osservare quel bambino riflesso che muoveva la bocca e le mani.
Dopo un po’ di tempo, tornò al dispositivo. Si mise sull’attenti, prese un grande respiro e disse:
“Ok Gugel, metti Spotifai e Quarantaquatro gati.”
Il dispositivo si illuminò e rispose:
“Riproduco Quarantaquattro gatti su Spotify.”
… e la musica partì.
Tommaso rimase fermo, incredulo. Poi la sua faccina si illuminò, mi guardò, sorrise, e i suoi boccoli biondi saltellarono mentre iniziava a gridare di gioia:
“Mi ha capito! Mi ha capito!”
Le magie esistono davvero: il rospetto si era trasformato in un principe raggiante, fiero di sé e la magia del linguaggio, in quel bimbo, si fece realtà.