A - UN INCUBO CHIAMATO ALGEBRA

di Ivano Mascagna


Ivano Mascagna
ottobre 2024
UN INCUBO CHIAMATO ALGEBRA

Ah, com'era bella l'insegnante di matematica bionda e formosa, ma anche buona Marcella Forlano, che mi dava sempre una bella mano.
In seconda media ritorna in classe la professoressa Penengo Romeo che dopo tanti 2 accumulati, mi disse:
“O il calcio o la matematica.”
Scelsi di dare un calcio alle parentesi graffa, tonda e quadra e di giocare a pallone nel “pratone” senza arbitro o allenatore, con poche regole, quelle necessarie e molta libertà.

Nel 1989 cade il muro di Berlino, ma io rimango in piedi nella scuola Palazzeschi, dove mi “regalano” la licenza media con le 150 ore. Le insegnanti sono indulgenti, essendo noi, quasi tutti, dei lavoratori: chiudono un occhio e mezzo.
Non ci proposero l'algebra per forza, se no ci sarebbe stata la strage degli ignorantoni innocenti.

Il 1995 fu un autunno decisamente “caldo”: o mi diplomo “Superiormente“ oppure perdo il lavoro.
L'impresa scolastica è sempre più ardua: 5 anni in uno all’Istituto Bolzano nel corso omonimo.
Pago quattro milioni e mezzo e dopo un mese mi ritiro.
Nonostante avessi preso l'aspettativa e Ornella tenesse nel pancione Mattia, fu vana l'attesa del mio diploma.

Dopo 24 anni riappare l’incubo chiamato Algebra: nonostante le ripetizioni del sabato mattina, non ne azzecco una.
Sarò dislessico? Sarà mancanza di concentrazione?
Penso che fosse un blocco psicologico, un ostacolo insormontabile che, nello specifico, mi fa sentire parecchio disabile.

Un po’ di anni fa chi ti vedo all’Ipercoop di Collegno? Una faccia assolutamente non nuova.
Ma chi è quello lì? Dove l'ho visto? Ci penso tutta la mattina. Non viene fuori il nome.
Ma soprattutto: dove l'ho incontrato?

Un paio d’anni fa mi trovo nei pressi della stazione della metro Principi d’Acaja, non molto lontano da corso Bolzano, e come folgorato da quella visione, rammento immediatamente chi fosse quel signore che mi passò a fianco all’Ipercoop:
l'insegnante di matematica dell’Istituto Bolzano.
Mi sarebbe piaciuto domandargli:
“Ma lei si ricorda chi sono io?”
Non l’ho fatto perché avrebbe potuto rispondermi:
“Ma certo, come si fa a dimenticare un pirla che paga quattro milioni e mezzo delle vecchie lire e dopo un mese si ritira dalla scuola perché non riesce a raccapezzarsi quando si trova davanti la graffa, la quadra e la tonda, intese come parentesi.”

Non ho mai accusato la professoressa Penengo Romeo di aver, con la sua minaccia:
“Se continuerai a portare il tutto sport in classe, finirai con il dormire sotto i ponti,”
condizionato la mia vita.
Non mi ha creato un danno irreparabile, vista la mia sete di conoscenza, curiosità e voglia di riflettere, che è irrefrenabile.

La penso esattamente come certe persone che sono finite su una sedia a rotelle, affette da paraplegia, che sostengono che, se dovessero perdere tutto quello che hanno acquisito nella condizione di disabili,
preferirebbero non tornare a camminare.
Può sembrare un’assurdità, perché no? Ma potrebbe essere vero.

Ed allora mai e poi mai, professoressa Penengo Romeo,
ho pensato di farle “marameo”.

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