N- NATALE

di stefania bambace


N: Natale di Stefania
NATALE

Non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di strade. (…)

Lasciatemi così come una cosa posata
in un angolo e dimenticata. (…)

Come ogni anno, all‘approssimarsi delle Feste, picchiettano alla mia mente questi sublimi versi dedicati al Natale di Giuseppe Ungaretti (soldato di trincea tornato a casa in licenza), e quel bisogno di estraniamento fa eco al mio, taciuto e celato, talvolta smascherato da qualche lacrima silenziosa in fuga.

Picchiettano più insistentemente da quando è cresciuta la conta delle sedie vuote, il peso delle assenze, il gusto amaro delle mancanze.

Il disagio, il fastidio di quello che definisco il natale minuscolo, però, è un sentimento più antico, presente anche al tempo di quelle Vigilie di Natale che oggi rimpiango.

O forse no.

Il rimpianto non è certo per le tavole imbandite e le presenze scontate.
È nostalgia di gesti d‘amore, di solidi mattoni custodi di bene, di profumi di cucina uguali da generazioni.
La memoria, l‘abile cucitrice, torna a tessere e ricompone trame sparse disordinatamente nel passato.

Ecco la neve bianca della Val d‘Aosta, gli abeti illuminati nei giardini e lungo la statale.
La certezza inossidabile degli amici al piano di sopra.

Una bimba che desidera ardentemente incontrare Gesù Bambino quando arriverà a portare i regali e pianifica di fingere di addormentarsi per poi nascondersi sotto il lavandino della cucina e sorprendere il Bambinello appena solcherà la porta.

E la cocente delusione, mentre in punta di piedi si avvia al buio verso il nascondiglio, di andare a sbattere contro suo fratello e la pila di regali che si accinge a depositare sotto l‘Albero.

Poco oltre, ecco i canti, le recite ed i presepi sproporzionati ed autentici della scuola elementare,
gli addobbi di casa che raccontano il nostro impegno e la nostra Fede innocente,
la gestione perfetta di tutti i preparativi della grande direttrice d‘orchestra, la mamma.

Cura in egual misura dettagli, manicaretti e sorrisi.
Papà sempre brillante, pur tacitamente commosso,
noi semplicemente bambini gioiosi.

E poi le telefonate, tante, tantissime, da lontano.
Auguri, auguri…

E più in là gli anni del disincanto.
Cosa c‘entrano queste tavole imbandite con il Natale?
Sembra una grande festa di compleanno senza il festeggiato!

Mi urtano questi piatti sporchi di avanzi, non sopporto le luminarie, il chiasso, la frenesia del consumo lì fuori.
I negozi aperti fino all‘ultimo secondo, le prove dei petardi già per fine anno,
le Messe in pelliccia di chi durante l‘anno diserta le chiese.

Non sopporto nemmeno l’idea pagana di un natale zucchero e melassa, il natale vissuto come un evento privato.
Altrove la gente è sola, è povera o è malata…

Mi guardo allo specchio, agghindata e perfettamente truccata, quasi a coprire le mie tristezze, e mi disprezzo.
Anch’io parte di un copione obbligatorio per convenzione.

Perché non ci chiediamo come stiamo, piuttosto? Se siamo felici?!

Ora l‘attenzione è su un ricamo prezioso della grande tela:
ci sono di nuovo bambini a correre e giocare per le stanze,
si respira gioia di attesa,
si canta un Natale maiuscolo,
perché pace e amore nelle bocche dei piccoli non sono mai solo parole.

La memoria ha completato la sua tela.
A breve sarà un altro Natale.

Il mondo è buio, là fuori, come 2000 anni fa.
Nonostante i moderni Erode, le arroganze di potere, la miseria dei popoli,
il natale minuscolo continua ad essere celebrato da molti.

Anche quest‘anno guardo la tela dei ricordi,
conto le sedie vuote, sempre di più,
e sento, pungenti, le mancanze.

È vero, non ho voglia di tuffarmi in un gomitolo di strade,
provo fastidio per le luminarie, la folla, i mercati di Natale,
già a nominarli una contraddizione in termini!

Ricerco il mio Natale maiuscolo, in realtà sobrio ed essenziale,
(per scomodare ancora i poeti ermetici).

Lascio agli altri membri della famiglia l‘entusiasmo degli addobbi,
semplici e tradizionali, profumati d‘infanzia (la loro!),
e mi concentro sul mio presepe e, contemplandolo,
lascio spazio allo stupore per un evento drammatico
che non ha proprio nulla di romantico ma che ha cambiato per sempre la Storia.

Riscopro Tu scendi dalle Stelle, un cantico da meditare,
programmo una cena che prolunghi l‘eco delle generazioni precedenti
e l‘adesione al nostro grande albero comune.

Faccio spazio.
Nell’anima e nel cuore.

Pulizia.

Ricerco il silenzio per mettermi in ascolto.
Assaporo sin d’ora il raccoglimento che ho già sperimentato nella chiesa del quartiere
dove, al termine della Messa del 24 sera, tutte le luci saranno spente.

Resteranno le fiamme delle candele ad illuminare la Notte Santa
e tutta la comunità intonerà il toccante Stille Nacht
(Astro del Ciel nella traduzione italiana),
canto tradizionale tedesco denso di spiritualità e pathos.

Eccolo, il mio Natale presente.
Un momento riflessivo di silenziosa ricerca di senso e di gratitudine.
Tutto qui.

In fondo, la bimba nascosta in trepidante attesa
di vedere arrivare Gesù Bambino con i Suoi doni
è ancora una parte di me.

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