I - INFANZIA FELIX

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Carla Baudino

venerdì 17 gennaio 2025

Infanzia Felix...

Qualche tempo fa mi sono soffermata a guardare il cielo di sera. Faceva già un po’ scuro, ma non tanto ancora da mostrare le stelle: erano tutte in attesa di sbocciare, perché in quel blu intenso, che rivelava ancora un po’ del chiarore del giorno, la luna in cielo spiccava solitaria e netta.
Solo, poco sopra, un’unica altra luce brillante in quell’immenso blu. Qualcuno, più tardi, mi disse chiamarsi Venere.

L’immagine mi deve essere rimasta nella mente e nel cuore: è bastata, nel silenzio illuminato, per ricordare altre sere di un'epoca che fu..., le sere della nostra irripetibile meravigliosa infanzia.
Avete mai pensato a quanto erano belle quelle serate d'estate quando la scuola era finita e si restava fuori a giocare con gli altri bambini?
Tutto sembrava qualcos’altro: una strada magari sterrata, se si abitava in periferia, appariva come un grande campo da calcio; una piazza od una via di una grande città, o ancora.

La fantasia era la ricchezza ineguagliabile dei nostri giochi. Valeva più di mille denari, e suppliva a tutto: alla mancanza di un pallone regolare, alla scarsità se non inesistenza di giocattoli “veri”, per la costruzione dei quali ci si accontentava dell’argilla: serviva ai maschietti per modellare aeroplani e automobili, con l’aiuto di stecchetti per tenere tutto insieme, e per la disperazione delle mamme che poi dovevano lavare le magliette o i pantaloncini o le gonnelline; serviva alle femminucce per preparare delle bambole e delle carrozzine.

Non c'erano automobili a mettere in pericolo i nostri giochi o le nostre scorribande o a disturbare i nostri divertimenti in quella che sembrava allora, e forse lo era, un’infanzia felice e spensierata.
E questa allegra e gioiosa sarabanda andava dal termine della cena, che si aspettava sempre con impazienza, temendo che ci scappasse via anche solo un minuto di giochi o di allegria, e scorreva per ore incuranti del tempo che passava.

Allora, si scappava di corsa da casa perché gli amici ci aspettavano, e sapevamo che se non fossimo scesi in tempo, i giochi migliori sarebbero tutti stati occupati da altri.
Quello era il momento quando anche un semplice fischio richiamava tutti noi ragazzini alla discesa in campo: il nostro cortile dai mille segreti, la nostra via, la nostra piazza.

Era tutto “nostro” perché nessun altro era ammesso a varcare quei limiti magici, quelle frontiere invisibili, quei cancelli, ed entrare in quell’universo che solo la nostra fantasia vedeva e che apparteneva a noi soltanto.
Su quel mondo

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