O - OSARE SEMPRE OSARE

di carla baudino.

Carla Baudino

OSARE SEMPRE OSARE

Un amico, molto molto tempo fa, mi raccontò che da ragazzo aveva ricevuto in regalo un libro sull'alpinismo. Glielo aveva regalato lo zio, che per un certo periodo fu ufficiale veterinario degli alpini. Uno zio che scherzava sul fatto di trovarsi in mezzo ai muli. Chissà, forse non ci sono più.

Tornando al libro, l'amico mi disse che lo zio aveva anche scritto per lui una dedica, che prendeva spunto da una frase che l'autore aveva inserito nel libro.
Ed era un'incitazione a osare, a sempre osare.
Anzi, ne riporto con esattezza le parole: "Osa, sempre osa e sarai simile a un Dio".
Niente di meno! Insomma, una versione decisamente più poetica della più nota frase: "O la va o la spacca", ma mai simile a un Dio.

Dunque osare. Una bella parola che fa immaginare delle grandi prodezze, delle grandi imprese. Nella mia vita credo di aver "osato" e detto molte volte "o la va o la spacca".
Eccone alcuni esempi e come andò a finire...

Un giorno mi presentai negli uffici Fiat di corso Marconi 10 (forse era il 1963), immaginate la magnificenza di quell'ingresso, di quegli scaloni in marmo, di quelle sale e, senza la benché minima raccomandazione terrena (mi ero raccomandata solo a Dio), chiesi se potevo avere un colloquio per una eventuale assunzione.
Avevo fatto tanto tirocinio, d'estate, presso il Tribunale di Mondovì, e sulla tastiera della macchina da scrivere volavo.
Colpiti dalla mia franca richiesta, mi fissarono un appuntamento per un colloquio, e dopo solo quindici giorni fui chiamata a firmare il contratto col quale avrei fatto parte della gloriosa (ahimè scomparsa) "famiglia" Fiat. Avevo osato ed era andata bene. E ricordando quella dedica mi complimentavo con me stessa per averla saputa interpretare nel modo giusto.
Insomma, salii i gradini fino al 7° piano dove c'erano i più alti papaveri della Fiat a fare la segretaria di direzione.

Ma non mi bastava rimanere piccola segretaria di paese approdata nella grande Torino. Sentivo che dovevo osare di più. E osando oggi, e osando domani, mi trovai pure sposata con un mio compagno di giochi, e misi al mondo due figli: Alberto ed Eva. Il nome Eva era già un azzardo, nessuno aveva osato dare alla propria figlia un nome simile, un nome che sapeva un po' di... prima donna.

Anni e anni dopo, trasloco dopo trasloco, finii in corso Francia ed aprii una copisteria. Il passo era decisamente lungo: non avevo solo osato, ma ero stata proprio un'incosciente: senza un impiego fisso, senza un gruzzolo, con un debito per comprare la prima macchina da scrivere da esporre in questa grande copisteria.
Poi ebbi un po' di buonsenso e di intraprendenza: feci tanti bigliettini da visita e mi misi a distribuirli girando per il quartiere, e anche più in là.
Anche stavolta, forse grazie al mio modo di affrontare la vita a muso duro, i frutti non mancarono. La gente del quartiere cominciò ad arrivare, come arrivarono, sempre grazie al mio modo un po' spensierato, contratti da favola: la Fondazione Agnelli, la Fiat, l'Aeritalia (ora Leonardo), prestigioso studio dell'avvocato Chiusano, la nota casa d'arte Allemandi, alcune case editrici e tanti tanti studenti che col passa parola venivano a farsi "battere" la tesi.

Osare avevo osato, e tanto. Ma un giorno, entrando in Fiat per consegnare il solito lavoro che svolgevo per lo stabilimento di Corso Marche, sentii un gran fracasso proveniente dalla parete in fondo al capannone: erano le prime ruote di un gigantesco computer che iniziava la sua corsa verso il futuro. La grande commessa si sarebbe conclusa di lì a poco con quel rombo.

Tuttavia quella frase sull'osare non l'avevo mai dimenticata e continuava a ronzarmi in testa.
Avevo collaborato all'organizzazione di un convegno di magistrati. Il Giudice coordinatore, terminato l'incarico, mi disse: "Se la conoscessero in Tribunale si leccherebbero i baffi" (lui non li aveva).
Mi informai, presi il telefono e chiamai la segreteria del Presidente, spiegando al gentile dottore che il motivo del mio osare era dovuto al fatto che se mi avessero conosciuta si sarebbero leccati i baffi.
(E quelli che non li avevano? Ci avrei pensato più tardi).
Mi invitarono immediatamente, perché quello stesso giorno, alle 2 del pomeriggio, si chiudeva il bando per partecipare alla gara indetta dal Ministero per la trascrizione delle udienze.
Mio figlio Alberto ed io prendemmo un taxi e nel giro di 10 minuti (corso Francia - Tribunale di Torino - Via Corte d'Appello) ci presentammo con tutte le nostre credenziali, brave comprese quella dei famosi baffi.
Era anche l'ultimo giorno di servizio di quel Presidente, tutto miracolosamente prima che scadesse l'ultimo minuto. Eravamo 14 ditte in gara, e indovinate chi la vinse? Noi.
Forse avevo osato troppo, forse ero davvero la migliore, forse era stato troppo rischioso avventurarmi in quel settore, senza né arte né parte, e soprattutto senza un ombrello che mi potesse riparare da eventuali scivoloni.

Ho osato, sì, ma credo che maggiormente sia stato un istinto innato a portarmi a superare tutte le barriere che poi, nel corso degli anni, si sono presentate sul mio cammino: un cammino dove spesso rose e spine si sono alternate e continuano ad alternarsi, sempre con l'appoggio incondizionato di mio figlio.
Morale della favola: non sempre tutto va e qualche volta bisogna accettare anche che la spacchi.

Quel famoso alpinista, mi sono informata, si chiamava Giusto Gervasutti, uno scalatore ai suoi tempi leggendario, che oggi qualcuno paragona a Messner.
E sono anche venuta pure a sapere che il Gervasutti, forse prendendo troppo alla lettera quello che scrisse, morì durante un'ascensione...

Io, che non avevo mai pensato di arrivare a essere un Dio, sono ancora qui a raccontarvi cos'abbiamo combinato con il solo ardire (o merito) di aver saputo osare.

OSARE SEMPRE OSARE

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