O- OZIO

di giuseppe bambace.


Giuseppe BAMBACE
CORSO DI SCRITTURA – LETTERA O2
30-01-2025

OZIO

Ozio è il termine a cui la nostra società dell’homo oeconomicus attribuisce, indiscutibilmente, un’accezione negativa. Lo associa a improduttività, pigrizia, inconcludenza o — peggio ancora — a parassitismo, secondo la logica dei rifiuti: ossia il prodotto di scarto dell’ossessione di crescita indefinita del profitto e del prodotto interno lordo.

Specchiando la prospettiva, ozio, in senso filosofico, emerge invece come condizione di grande valenza interiore. Un valore antitetico rispetto ai dettami dominanti del fare.

Già gli antichi Romani intendevano l’otium come il periodo dedicato al riposo e alla ricerca intellettuale, distinguendolo dal negotium, che identificava le attività rivolte ai propri affari. Quindi, un’esaltazione del tempo libero, rivolto al semplice fine di rinvigorire corpo e mente.

Un’attitudine espressa magistralmente in tempi più ravvicinati da Kafka:

“L'ozio è il principio di tutti i vizi, il coronamento di tutte le virtù.”

Difatti, osservare il mondo circostante, coglierne le sfumature, percepire la realtà con un approccio agnostico, è un esercizio tutt’altro che semplice. Richiede la concentrazione necessaria a ripristinare la circolazione virtuosa di energia vitale, in posizione diametralmente opposta al giogo dell’atto, che attribuisce e riconosce il valore di una persona in misura delle sue attività, in rapporto proporzionale alla sua frenesia.

Forse, estremizzando, si può affermare che riproponga la dicotomia dell’analisi di Fromm fra essere e avere: la ricerca dell’essenza opposta al materialismo, alla fibrillazione di possesso.

Escludendo gli elevati esempi di tanatosi raggiunti dai grandi asceti orientali, si possono comunque individuare situazioni — sia nella vita quotidiana che in quella professionale — che trovano applicazioni concrete nell’uso del linguaggio, nell’impostazione delle relazioni, nonché nelle scelte etiche.

È il recupero del senso delle proprie azioni, che ricerca l’armonia e la condivisione. Pertanto non necessita di conflitti.
In una visione poetica, è la consapevolezza che ogni alba è il preludio ad un’altra giornata migliore, come dipinto a vividi colori da John Steinbeck nei racconti di vita quotidiana e delle imprese dei nativi californiani di Pian della Tortilla.

In antitesi, la pulsione corrente dell’uomo del fare sottende una condotta utilitaristica e predatoria. Il linguaggio e la posa sono animati dalla conflittualità finalizzata alla prevaricazione, per l’acquisizione di un potere illusorio, in quanto effimero.

La conclusione più degna non può che essere un arguto aforisma di Oscar Wilde:

“Il non far nulla è la cosa più difficile al mondo.”

Per quanto mi riguarda, ho preso consapevolezza di questa pienezza da quando sono entrato nella stagione Quota 100.
Mi rimane un solo rammarico:
se solo avessi saputo quanto è bello essere in pensione, non sarei mai andato a lavorare!

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