M - MARE

di giuseppe bambace.


Autore: Giuseppe BAMBACE
CORSO DI SCRITTURA – LETTERA M2
Data: 27-02-2025

MARE

Non c’è dubbio, sono una creatura d’acqua.
Sono giunto a questa conclusione in modo definitivo non per un aspetto fisiologico, il mare è l’ambiente in cui la spinta di Archimede contrasta la gravità della mia abbondante massa corporea, consentendomi di muovermi con fluidità nel suo elemento e regalandomi sensazioni di agio.

È piuttosto un asintoto interiore, il mare m’incanta in ogni sua manifestazione, sia nel ritmo ipnotico della carezza ritmata sulla battigia, come nell’impeto della tempesta, con le sue urla di tramontana che spazzano il litorale. Un sentimento che rincorre un limite senza poterlo raggiungere pienamente, ma che in questa tensione emotiva dona sentimenti intensi, appaganti.

Ha da sempre esercitato su di me un’azione terapeutica, rinfrancando fatiche, lenendo i graffi dell’anima, confortando malumori, generando nuova energia, ispirando senso di libertà, perché la linea dell’orizzonte è solo un limite geografico, dal punto di vista concettuale è indefinito. 
Mi affascina la sua dimensione universale, che trascende ogni tentativo di catalogazione linguistica. 
Lo coniughiamo al maschile, forse perché facciamo prevalere una prospettiva di antagonismo, di rivalità, nell’atavica lotta consumata dall’uomo per guadagnarsi da vivere. Ma trovo riduttiva questa accezione ripiegata sull’ostilità, in realtà il mare possiede anche una forte connotazione femminile, più sensibile, espressa nel suo ruolo di custode e procreatrice della vita nel segreto del suo grembo profondo, nonché nella sua stretta correlazione con la luna, icona femminile del cosmo conosciuto, che ne influenza i cicli, gli sbalzi di umore, ne amplifica l’imprevedibilità.

Il mare sfugge ad ogni ambizione di proprietà, non a caso la maggior parte della sua estensione viene ancora oggi definita legalmente acque internazionali, come a ribadire un magnifico passaggio de I Malavoglia “il Mare non ha paese nemmeno Lui, ed è di tutti quelli che lo sanno ascoltare”. 
Ascoltare è un’arte non banale, che richiede un animo poetico, una mente libera, uno sguardo sognante. È una pulsione catartica, che il grande navigatore Cristoforo Colombo aveva sintetizzato “Non si potrà mai attraversare l'oceano se non si ha il coraggio di perdere di vista la riva”. La gratificazione che si può ricevere salpando oltre l’orizzonte è sentire la vita fremere attorno a sé, un senso di appartenenza che non ci fa sentire mai soli, come aveva compreso intimamente Ulisse nella sua Odissea alimentata dal piacere della scoperta, della conoscenza.

Personalmente lo ascolterei all’infinito, alzando il volume al massimo, che sia bagnato di pioggia o splendente nei colori vividi del mezzogiorno, dorato nei riflessi del tramonto o illuminato dalla luna piena. Foriero di ricordi passati o di speranze future, musica che aliena il fardello dei pensieri, scrigno prezioso dei sogni più reconditi. Doti che sono state finemente descritte dal genio di Fernando Pessoa “Dio diede al mare pericolo e abisso, ma è nel mare che rispecchiò il cielo”.
Nel buio medioevo del presente cosa ne è dell’auspicio visionario di Cristoforo Colombo, mentre veleggiava verso occidente al soffio degli alisei “E il mare concederà ad ogni uomo nuove speranze, come il sonno porta i sogni”? Quella speranza si è tramutata nella violenza predatoria delle sue risorse, nella decimazione insensata delle sue creature, nello stravolgimento degli habitat sacrificati al profitto, un oltraggio senza limiti il cui emblema è l’emersione di un‘isola di plastica. Rimangono indenni i sogni, che l’intelligenza artificiale non è ancora in grado di condizionare. Nel mio il paradiso è raffigurato come un paesaggio incontaminato circondato da un mare cristallino.

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