O - Orologio ipotetico

di carmela bellitti.


Carmela Belliti

Orologio ipotetico


C’è un orologio ipotetico che sta segnando la fine del mondo. In inglese è denominato Doomsday Clock.

È una metafora ideata da degli esperti nel 1947 durante la Guerra Fredda e segnava sette minuti al giorno dell’apocalisse.

E chi sta accelerando questo processo – che ai giorni nostri conta ormai 90 secondi – è il genere umano.

Come? Attraverso le guerre, le armi nucleari, i cambiamenti climatici. Queste minacce sembrano non preoccuparci, perché ogni giorno nasce un nuovo conflitto e stiamo ideando nuove forme di intelligenza artificiale che potrebbero accelerare ancor di più questo processo.

Se arriverà quel giorno, cosa resterà dopo?
La memoria dell’acqua, con il ricordo delle sostanze di cui è venuta in contatto.
Quella degli alberi, se sopravviveranno, comunicando tra di loro attraverso le radici o le chiome.

Se l’uomo non ci sarà più, non si potrà più leggere l’età degli alberi tagliando la sezione del tronco. Evviva!!!

Chi si ricorderà di noi?
Del mostro che, pur avendo i sentimenti, la capacità di amare, di essere compassionevole, capace di grandi imprese e grandi scoperte, si è lasciato prendere solo dall’odio?

E se tutto fosse stato già scritto?
E se il destino della nostra specie, della nostra evoluzione fosse proprio autodistruggersi, distruggendo tutto ciò che ci sta intorno?

Eppure siamo dotati di memoria.
C’è una memoria mondiale, nazionale, familiare, del singolo individuo.
Abbiamo scritto la storia tramandando racconti, scritto libri, manuali, romanzi, dipinto quadri, inventato le arti...

Ma nello stesso tempo abbiamo inventato le armi che hanno assoggettato l’umanità al potere, alla paura del diverso. Così facendo abbiamo fatto il gioco dei potenti.

Mi chiedo: è la memoria che fa la storia o la storia fa la memoria?
Siamo tutti smemorati, perché dalla storia non abbiamo imparato niente.

In un recente passato milioni di persone sono state deportate, uccise perché incolpate da un sistema folle, con un folle potere. Chi si salvò, non subito svelò il suo passato perché si sentivano colpevoli.
Ci sono voluti anni, decenni, perché venisse a galla quell’orrore e le radici di tutto: l’odio, la paura.

Quando non ci saremo più, nei musei della memoria, nei ruderi… lupi, cinghiali, zebre, leoni, elefanti, gli animali tutti insomma, non sapranno decodificare i reperti rimasti: la ghigliottina, la sedia elettrica, le armi.

Perché se solo ne fossero capaci, ci addosserebbero tutte le colpe del mondo di ciò che ne rimarrà.

E chissà, se una nuova famiglia di scimmie – speriamo non Bonobi – prenderanno in mano lo scettro, il femore come in 2001: Odissea nello spazio, affinché, come la storia insegna, ricominciare tutto ciclicamente. Questo solo per essere ottimisti.

Dice De Gregori in una sua canzone:
“La storia siamo noi, questo prato di aghi sotto il cielo,
siamo noi queste onde del mare,
la storia dà torto e dà ragione,
siamo noi che scriviamo lettere,
è la gente che fa la storia,
siamo quelli che hanno letto milioni di libri
e quelli che non sanno nemmeno parlare,
la storia dà i brividi perché nessuno la può fermare,
la storia siamo noi, padri e figli,
la storia siamo noi, questo piatto di grano.”


Ricordiamolo!

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