S - SENZA SBARRE: UN AMORE LIBERO
di monica resta.
Monica Resta
Senza Sbarre: un amore libero
L’aria era sottile, la primavera si respirava leggera.
Come tutte le domeniche, Luigi uscì presto per comprare il giornale.
Non so se poi lo prese davvero. Ricordo solo che tornò stringendo qualcosa sotto il giubbotto di jeans: un uccellino, minuscolo, caduto dal nido.
Non era stato possibile trovare la sua mamma. Lasciarlo lì, in mezzo alla strada, sarebbe stato come condannarlo.
«Piccolo mio, hai fame!» pensai.
Ricordavo che agli uccellini non si devono dare pane con acqua o latte, perché rischiano di morire. Così bollii un uovo e gli offrii il tuorlo.
Eravamo giovani studenti e abitavamo in un vecchio convento del 1200, trasformato in abitazioni, in una bellissima zona della periferia di Firenze, a due passi dal ritiro di Coverciano, dove si allena la Nazionale di calcio.
Lunedì mattina andammo in centro dal "cibaio", che ci fornì il cibo adatto per il nostro piccolo ospite.
Casa nostra era composta da tre stanze comunicanti, e la famiglia era formata da Luigi, me e Linda, una gatta angora del vicino che aveva deciso di cambiare padrone scegliendo noi.
All’uccellino demmo il nome di Teodoro, e gli dedicammo tutto il nostro amore per farlo crescere sano e lontano dai pericoli... ossia da Linda.
Qualcuno ci regalò una gabbia, ma la porta rimase sempre aperta: per Teodoro era solo un rifugio quando Linda si avvicinava.
Teodoro, però, era furbo: appena sentiva Linda nei paraggi, volava su un grosso specchio dei miei bisnonni. Da lì, la osservava dall’alto, poi si copriva il viso con un’ala e si addormentava.
Cresceva a vista d’occhio.
Le piume leggere cambiarono colore, divennero nere, e il becco si tinse di arancione. Era un merlo! Ma un merlo speciale: aveva una striscia bianca sulla coda.
Teodoro era parte della nostra vita.
Svolazzava per casa, e quando uscivamo si posava sulla spalla mia o di Luigi.
Con il becco e la testolina si avvicinava al mio viso, e i suoi “baci e abbracci” mi inondavano di tenerezza.
Ricordo che un giorno, mentre compravamo il suo cibo, tenendolo sulla spalla mentre controllava la scelta, si avvicinò un signore robusto in tuta mimetica:
«Vi offro 500.000 lire, me lo vendete?»
Era una somma enorme, pari a un anno intero di affitto.
Eravamo poveri, ma ricchi d’amore per Teodoro.
Rifiutammo senza esitazione. Non lo avremmo mai ceduto, nemmeno per tutto l’oro del mondo, tantomeno a un cacciatore come quello, le cui intenzioni erano rinchiuderlo in una gabbietta per far sì che il suo canto richiamasse altri merli per le sue nefandezze.
Teodoro era curioso, vivace.
Quando a casa entravano le formiche, lui si metteva in fondo alla fila e, pazientemente, le faceva fuori una ad una. Era l’antiformiche più potente che potessimo avere.
Quando uscivamo senza di lui, lo chiudevamo nella prima stanza per proteggerlo da Linda.
Al nostro ritorno, i suoi richiami ci accoglievano ancor prima di aprire la porta.
L’estate era alle porte, e Teodoro era diventato bellissimo: paffuto e allegro.
Diventammo consapevoli che era giunto il momento per lui di rendersi indipendente.
Una domenica di sole di fine giugno, organizzammo un picnic a Vincigliata, una zona ricca di alberi non lontana da casa.
Teodoro svolazzava felice da un ramo all’altro, e ogni tanto tornava da noi per beccare qualche pietanza mentre pranzavamo.
Sembrava trovarsi a suo agio sugli alberi.
Pensammo che quello fosse il posto giusto per lasciarlo libero...
A metà pomeriggio, dopo aver riposto tutto, ci avviammo verso la macchina per tornare a casa.
Teodoro saltellava e cinguettava tra gli alberi.
In silenzio, e con dolore nell’anima, salimmo in auto.
Luigi accese il motore.
All’improvviso, in picchiata, Teodoro arrivò davanti al vetro e iniziò a beccarlo furiosamente: tac tac tac!
Sembrava dirci: «Ma siete matti? Dove andate senza di me?! Fermatevi!»
Eravamo felici fino alle lacrime.
Aprimmo subito la porta, e lui volò dentro.
Viaggiammo in silenzio, pieni di tenerezza, felici di tornare insieme.
Teodoro, forse solo stanco dopo la grande avventura, si appollaiò su una spalla e si addormentò.
Arrivò luglio, il periodo delle vacanze, e scegliemmo come meta Torre del Lago, un campeggio in una zona vietata alla caccia.
Partimmo insieme.
La spiaggia non era un posto per merli, e così Teodoro rimaneva in campeggio, svolazzando tra i pini mentre noi andavamo al mare.
Col passar dei giorni, trovò amici, forse anche l’amore.
Le sue visite si fecero sempre più rare, ma sapevamo sempre dov'era: quella striscia bianca sulla coda lo rendeva unico.
Sapevamo che era felice.
Tornammo a casa solo noi due.
Teodoro non ebbe mai sbarre.
L’amore più grande è dare la libertà.