F - IN FIN DEI CONTI

di carmela bellitti.


IN FIN DEI CONTI

di Carmela Belliti




È successo, dopo più di trent’anni, è arrivata la fine per la mia tazza da colazione, è successo,
alzandomi dal tavolo ho sbattuto la mano verso lo spigolo di un mobile, mentre con la tazza andavo a
farmi il secondo Refill di caffè mattutino del sabato, è successo, era perfetta, la circonferenza giusta,
il diametro giusto, per accogliere la quantità di biscotti che non entravano in conflitto tra loro,

cominciavo da quello di mais che aveva bisogno di più tempo per ammorbidirsi, poi immergevo
subito il più morbido, con affianco il medio morbido, così da degustarli nel momento giusto prima che
diventassero troppo molli o poltiglia.

In origine era una bomboniera, del matrimonio di una mia
amica, la parte superiore era una teiera e quella inferiore la meravigliosa tazza incastrate l’una
nell’altra e ora ne sto decantando le lodi,

la teiera dopo qualche tempo, infranse il beccuccio contro
lo spigolo del lavandino e si ruppe, ma la tazza è stata la mia compagna migliaia di colazioni benché
nel tempo avesse perso il manico arrotondato che le dava una certa eleganza, e design,

bene! Ha
continuato, la sua funzione naturale, accogliere, trent’anni insieme e anche più,

come farò adesso a
trovare una sostituta che abbia le stesse caratteristiche.

Certo potrei, come fanno in Giappone
ricomporre i pezzi e rimetterla insieme con del filo d’oro con una tecnica chiamata Kintsugi, la tecnica
non è solo un restauro ma una vera filosofia,

anni fa chiesi ad un amico giapponese se metteva in
atto questa tecnica quando si rompeva un oggetto di ceramica o porcellana, ma mi rispose - no!
-Facciamo come voi lo buttiamo via.

Rientro nel tema, la mia adorata tazza, ricoprirla d’oro, ma il gioco vale la candela?

No! Proprio solo una brutta fine, però è stata una vita vissuta decorosamente fino alla fine,

ora i suoi
cocci sono una fotografia nel mio smartphone.

D’altronde non è la fine del mondo se una tazza si
rompe.

Sigh!
La fine!

In genere cerco di portare sempre alla fine ciò che inizio, succede con un obiettivo, un lavoro,
succede con i film, succede con un libro.

ma prescinde da me la loro fine, avranno sempre una fine.

non ho abbandonato molti libri nella mia vita ma -Il gioco delle perle di vetro- di Herman Hesse, vive
ancora con il suo segnalibro ad un terzo delle pagine nella mia libreria e dire che ho amato molto
questo scrittore, ma ho trovato ostica la lettura del libro in questione.

Chissà se lo riprenderò prima o
poi.

Divago ancora, sul tema.

Fine o senza fine?

Un tempo si pensava che la fine del mondo fosse lo stretto di Gibilterra denominato anche colonne di
Ercole
, poi, Cristoforo Colombo inconsciamente, incautamente, erroneamente, scoprì l’America e così
si allargò il campo della fine del mondo.

Ushuaia è una località situata all’estrema punta meridionale dell’Argentina nella terra del fuoco,
luogo, che visitai moltissimi anni or sono, il ricordo più vivido che ho ancor oggi è il carcere,

oramai è
diventato museo che vale la visita per conoscere gli usi e i costumi di quella Argentina estrema,

un
piatto di aragosta chiamato Centolla, nonché l’hotel in cui albergammo gestito da una coppia di
origine tedesca, con un riscaldamento eccessivo e la moltitudine etnica che costituiva la popolazione
di quella cittadina,

sembrava un luogo da Far west, strade non asfaltate, neve ammonticchiata, ai lati
della strada, un’urbanistica simile ai film di Sergio Leone, cani Husky liberi di gironzolare, quod e
dunebuggy, ovunque, un caos d’altri tempi;

legato al ricordo di Ushuaia c’è anche un film di Won Kar
Way
, un regista cinese anzi di Hong Kong che amo molto, ambientò uno dei suoi più bei film in quel
luogo, il titolo era -Happy Together. Lo consiglio.

Menzionerei anche un libro di Luis Sepúlveda, Il mondo alla fine del mondo, ambientato sempre a
quelle latitudini.

Come punto ultimo, posso dire che non esiste un attimo senza fine, sarebbe troppo bello se il lieto
fine fosse infinito, se non esistesse il secondo fine in alcune relazioni, oppure fare del male a fin di
bene, o che il fine vita non porti comunque dolore.

Ma non prendete per oro colato ciò che dico, in fin dei conti non sono una fine dicitrice.

Cerco solo di trovare una accezione positiva al termine -fine del mondo-, l’altra trascende dal mio
controllo.

Concludo con una canzone dei Pooh:
se il mondo assomiglia a te
Si può ancora ridere
Piantare del grano
Far bambini se vogliamo
Non siamo in pericolo.

E in fin dei conti devo ancora trovare una nuova tazza per la colazione.

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