C- Cafone
di grazia berardinellii.
Il cafone
di Grazia Berardinelli
Qua e là ci si imbatte con persone non allineate al nostro modo di dire o di fare. Fin qui nulla da dire, se non che prendere atto che siamo per fortuna diversi nei modi e negli stili di vita. La diversità è necessaria, ma non giustifica le problematiche sollevate dai prepotenti. Se ciascuno vivesse in ambienti grandi con scarsi percorsi intersecabili, forse potrebbe andare tutto liscio. Il fatto è che le aree urbanizzate hanno spazi sempre più ridotti, le strade si incrociano in modo vertiginoso, costringendo a incontri-scontri. La società ha fissato norme e comportamenti civili da rispettare, delegando a famiglia e scuole il progetto formativo con il patrocinio di Stato e Chiesa.
Ciò che si fa fatica ad accettare è l’aggressività gratuita dei cani sciolti che scaricano sulla vittima sacrificale la propria rabbia e violenza senza batter ciglio. Tra questi si annovera il cafone. Se hai la sfortuna di imbatterti col cafone e tu non lo sei è un problema destabilizzante e pernicioso. Il cafone lo trovi per strada, su un mezzo pubblico, in palestra, al bar, in ospedale, a scuola, al mercato, in campagna, al mare, in montagna, forse si potrebbe escludere in chiesa o al cimitero, sperando sia timorato di Dio, per chi ha ancora la fede.
Sull’etimo del lemma ci sono varie ipotesi, nell’Alfabeto napoletano, Colonnese Editore, si fa riferimento al modo scorretto e sgrammaticato degli abitanti del contado rispetto a chi vive in città. Secondo lo studioso Vittorio Paliotti il termine trae origine dal greco kafun riferito a chi zappa la terra.
L’origine rimanda anche al tempo in cui i contadini, facevano lunghe code sotto le mura, prima di arrivare alle porte di Napoli, gridando cà fun, per incitare a buttare le funi, cui legare i cesti con i loro prodotti. La stessa ipotesi si riferisce al periodo delle emigrazioni verso le Americhe, quando i viaggiatori chiedevano ai marinai di lanciare la fune (cà fune) cui aggrapparsi.
In Sicilia il cafone era il bracciante, definito come persona rozza, rude e maleducata, anche ingorda che mangia con avidità e in modo sproporzionato. Oggi il lemma è usato in modo dispregiativo sia come sostantivo che aggettivo. Ad esempio modo di agire cafonesco, stile cafone, etc.
Ciò che identifica il cafone maleducato è senza dubbio lo stile di vita senza ritegno, spudorato nel giudizio. Essenzialmente non tiene conto né di persone, né delle situazioni in cui si trova, dice sempre quello che pensa senza censura, si pone verso l’altro senza decoro, non ascolta chi parla, anzi gli si sovrappone da prepotente. Il galateo per lui non esiste, mangia prima degli altri, prende con voracità il cibo senza tener conto degli altri, non ha limiti nell’accaparramento di beni altrui. Cafone in generale è persona grossolana, che va oltre i limiti della buona creanza.
Il cafone ha indole propria. Il suo essere cafone trae origine da insicurezza e vissuto sofferto, forse suscitato da prevaricatori prepotenti e aggressivi che non gli hanno permesso una crescita sana e gratificante. Al cafone mancano la consapevolezza di sé e la reale autostima, in cambio ha la spocchia ed è saccente per una considerazione di sé falsata, boriosa per presunta saggezza. Per lui l’altro è il nemico da combattere in modo insolente per rivincita. Il senso di umiltà non esiste nel suo stile di vita anzi si atteggia in quello che non è. E’ un blef, ma nessuno osa dirglielo per rispetto alla sua pochezza.
Se lo si vuole aiutare occorre vivergli vicino a lungo, offrendogli esempi comportamentali improntati all’onestà con se stessi, all’accettazione consapevole delle proprie possibilità e dei propri limiti e alla rassicurazione che ciascuno è ciò che è e ha valore.
Il dilagare del comportamento cafone oggi purtroppo è in aumento, essendo venute a mancare la famiglia, sempre più in crisi, in corsa col tempo verso mete irraggiungibili e la comunità tradizionale rassicurante cui era affidato il controllo sociale che permetteva l’interazione dei suoi membri.
Il cafone circola a briglie sciolte, facile preda della persuasione occulta, che a livello subliminale è manipolato in modo selvaggio da aziende pubblicitarie, e politici imbonitori di basso livello.
Ignazio Silone nel suo romanzo Fontamara dice che il cafone è come un asino che non ragiona. Nessuna argomentazione lo convince. Semmai lo si può persuadere. Egli pone il cafone all’ultimo posto della scala sociale.
A mio avviso il cafone non è riconducibile ad un ceto sociale né può essere collegato al grado di istruzione posseduto, né va plasmato.
C’è invece molto da lavorare sulla formazione permanente dell’individuo ad opera della società civile e democratica. L’impegno da parte delle istituzioni e degli enti preposti deve partire da progetti formativi seri e costruttivi, non strumentali, ma a vantaggio di tutti.
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